domenica 5 gennaio 2014

La realtà è oggettiva? La vista e le illusioni ottiche.

Di Patrick Bini


illusioni ottiche, illusione tela, illusione psicologia, psicologia, Dr. Patrick BiniTra i tantissimi ambiti d’interesse della psicologia, uno dei più affascinanti è senza dubbio lo studio della percezione umana, intesa come comprensione etologica dei nostri sensi. Attualmente le nostre conoscenze fisiologiche sul funzionamento del cervello e degli organi afferenti, stanno crescendo esponenzialmente, anche grazie all’utilizzo dei moderni sistemi d’indagine computerizzata e allo studio comparativo dei pazienti che hanno subito danni cerebrali localizzati. Anche se i misteri più profondi, riguardanti la coscienza e la percezione di se, rischiano ancora di sconfinare nella filosofia, oggi disponiamo di teorie scientificamente supportate  che possono rispondere alle domande che da sempre hanno tormentato filosofi e uomini di scienza.
Mi è capitato spesso di sentir dire, soprattutto quando in seguito ad un  incidente stradale qualcuno voleva approfittare della situazione facendo di aver male la testa: “tranquillo, tanto sul cervello non ci si capisce ancora niente…”. Non c’è luogo comune più sbagliato, in realtà sappiamo moltissimo sul cervello e sul suo funzionamento, conosciamo la dislocazione spaziale delle aree deputate a determinati tipi di funzione, sappiamo come funzionano i neuroni e l’immensa rete di comunicazione che li unisce, iniziamo ad intuire le modalità plastiche attraverso le quali i sistemi cerebrali lavorano all’unisono per permetterci di percepire il mondo e di rispondere in ogni istante nel modo più adeguato.
Non voglio comunque addentrarmi in argomenti troppo specifici che potrebbero annoiare i lettori, mi limiterò ad analizzare il funzionamento generale del senso universalmente riconosciuto come “più importante”, la vista. La scelta non è casuale, la funzione visiva, che noi tutti diamo per scontata, mette in gioco molteplici strutture cerebrali complesse, dall’archivio dei ricordi, alle aree che determinano una forma o un colore, all’area emotiva, fino alla coscienza. Inoltre attraverso l’uso d’ immagini particolari, dette illusioni ottiche, è possibile sperimentare in prima persona che noi viviamo la realtà non come effettivamente è ma per come la percepiamo.
Questo aspetto rappresenta uno dei cardini della Gestaltpsychologie (dal 1910 al 1930) o psicologia della forma. I fondatori di questa corrente di ricerca (Kurt Kofka, Wolfgang Kohler e Max Wertheimer), condividevano una visione olistica secondo la quale tutto è differente dalla somma delle singole parti. Da questa idea di base, scaturirono numerose ricerche, volte alla comprensione del comportamento in relazione al modo in cui viene percepito il mondo, e non per come è oggettivamente (Questa visione è naturalmente condivisa anche dalla moderna psicologia. Anche in sede terapeutica una componente fondamentale da tenere sempre presente è la prospettiva dalla quale il paziente vede e si relaziona con il mondo). A sostegno delle ipotesi formulate vennero elaborate le 7 leggi della percezione visiva, che attraverso degli elaborati grafici permettevano di sperimentare direttamente quello che intendevano spiegare:

Vicinanza: gli elementi vicini vengono percepiti come insieme unitario.





Somiglianza: gli elementi di un gruppo che si somigliano vengono percepiti come insieme unitario.

      
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Destino comune: gli elementi che condividono le stesse caratteristiche di movimento, ritmo o orientamento, vengono percepiti come insieme unitario.

    


                                                              

Chiusura: gli elementi che tendono a chiudersi in forme riconoscibili vengono ricostruiti dal cervello che “in automatico” aggiunge le parti mancanti.




                           
Continuità di direzione: Gli elementi che si susseguono in modo regolare o logico sono percepiti insieme.


                                       

Pregnanza: in un insieme di elementi quelli che hanno la forma più semplice (più pregnanti) e quindi più riconoscibili, tendono ad essere percepiti come figura, gli altri passeranno in secondo piano e diventeranno lo sfondo
                                          



Esperienza passata: gli elementi possono evocare esperienze percettive di un dato oggetto conosciuto in passato, tendono quindi  ad essere raggruppati.

                                                  
                                       



In seguito alla formulazione di queste leggi in molti si sono sbizzarriti creando illusioni ottiche sempre più incredibili e affascinanti (anche artisti famosi come Daly), eccone alcuni esempi che seguono le regole sopradescritte.





                                   
  





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Queste illusioni, ingannano i nostri sensi mandando in confusione quei meccanismi automatici che di solito ci aiutano permettendoci di focalizzare l’attenzione. Tendenzialmente mirano a confondere lo sfondo con la figura in primo piano. Negli ultimi 100 anni sono state prodotte migliaia di illusioni ottiche, sempre più sconvolgenti, che per funzionare fanno breccia nei nostri “bug” sensoriali.
Solo dagli anni 80 però si è cominciato ad analizzare il modo in cui vengono percepite le ombre. Ritengo che le illusioni che utilizzano i cerchi ombreggiati siano tra le più interessanti. Realizzate dal neuropsicologo Vilayanur S.Ramachandran, riescono a ristrutturare immediatamente l’immagine, mutando, ma rimanendo gli stessi, un vero paradosso. Ecco un esempio. Guardando l’immagine in basso, tenendo la testa in posizione eretta, non si riesce a distinguere bene le buche dai rilievi, diciamo che si confondono. Se invece ruotiamo la testa a destra, ecco che i cerchi nella fila in basso divengono buche, quelli nella fila in alto rilievi. Se da questa posizione si passa ad inclinare la testa a sinistra, ecco che i ruoli si rovesciano e i rilievi diverranno buche e viceversa…










Tutto diviene ancora più chiaro osservando la seguente immagine. Presentata a sopra in originale e a sotto ruotata di 180°. Potete osservare come capovolgendola i buchi diventino rilievi e viceversa.

                    







La domanda nasce spontanea, perché avviene tutto questo? Vilayanur, ci fornisce un ipotesi molto convincente. Si parte dall'assunto che l’uomo, essendosi evoluto in un ambiente in cui la sorgente luminosa, rappresentata dal sole, illumina sempre gli oggetti dall’alto verso il basso, ha sviluppato una tendenza a percepire un mondo in cui gli oggetti sono illuminati appunto, dall’alto verso il basso. Non sappiamo se tale condizione sia immutabile o possa variare in relazione alle condizioni ambientali. A tal proposito sarebbe interessante eseguire una sperimentazione con luce proveniente dal basso per un certo periodo. In un esperimento condotto negli anni 90, si fecero indossare 24 ore su 24, ad alcuni individui, degli occhiali, dotati di specchi, che facevano vedere il mondo capovolto. Dopo alcuni giorni, passati i disagi iniziali, i soggetti cominciarono ad abituarsi alla strana condizione, fino a iniziare a vedere il mondo nella giusta posizione indossando gli occhiali. Togliendoseli il mondo gli appariva capovolto. Tutto ciò si deve alla plasticità neurale, che permette alle strutture cerebrali di variare le reti di comunicazione tra i neuroni per adattarsi alle condizioni esterne. Quindi una volta finito l’esperimento, in pochi giorni i soggetti sono tornati a vedere normalmente. Tutto ciò conferma comunque che non vediamo il mondo come è ma per come lo percepisce il nostro cervello. In quest’ottica possiamo intuire meglio perché un’anoressica di 40 kg si vede grassa o perché un’ossessivo compulsivo non si sente decontaminato se non esegue esattamente un certo numero di lavaggi. La plasticità neurale infatti non costruisce solo connessioni “funzionali”, ma anche disfunzionali. Da qui si origina fisiologicamente la resistenza al cambiamento che è un cardine della Scuola di Palo Alto fondata da Paul Watzlawick. In pratica, come posso rinforzare azioni e comportamenti utili, posso per errore rinforzare comportamenti sbagliati. Sembra incredibile ma la maggior parte dei disturbi mentali nasce da piccoli inciampi che se perpetuati producono cadute catastrofiche e quasi mai indolore. Ma facciamo un esempio per comprendere meglio: se voglio imparare a guidare, più guiderò più diventerò bravo perché rinforzando le connessioni cerebrali tra le aree utili alla guida, svilupperò tanti automatismi (come cambiare, premere la frizione, guardare gli specchietti), quindi ciò che all’inizio andava eseguito coscientemente, pian piano diviene sempre più automatico e posso concentrarmi solo sulla strada. Tutto ciò è molto utile se si vuole imparare a guidare, diviene dannoso quando arrivo a rinforzare comportamenti e pensieri, che poi divengono automatici, rappresentando poi il sistema d’innesco di ossessioni, paranoie o fobie.
Scusate la divagazione, ma era utile per comprendere che l’intero mondo che ci circonda, esiste per noi solo perché il nostro cervello lo percepisce, e siamo noi, in seguito alle nostre esperienze, che costruiamo la nostra visione del mondo.
Al di la di questa visione soggettiva, la natura ci ha dotato di un “hardware” di base, costruito uguale per tutti, che possiamo continuare a ingannare utilizzando le illusioni ottiche.
Le nuove scoperte sulla percezione hanno permesso di utilizzare altri automatismi per ingannare i nostri sensi, associati alla percezione dei colori, del movimento, della prospettiva, dell’interazione tra trame.
Ecco alcune immagini spettacolari, eseguite da artisti come Julian Beever, che utilizzano la prospettiva e la tridimensionalità.

              


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Ed altre che sfruttano le trame i colori per indurre a percepire movimento.


         
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Ma come avviene fisiologicamente la visione e perché le illusioni visive ingannano il nostro cervello?
Rispondere in maniera semplice non è affatto facile; come già detto il sistema visivo è molto complesso.
Come tutti sappiamo la visione si origina nell’occhio in cui una serie di lenti, focalizzano le immagini (composte da fotoni) sulla retina che è formata da migliaia di fotorecettori detti coni e bastoncelli, sensibili a 3 distinte lunghezze d’onda, il blu, il verde e il rosso. Sembra strano ma la combinazione di questi tre colori riesce a fornirci l’intera gamma dei colori che vediamo. Per fare il giallo si uniscono ad esempio il verde e il rosso. E’ la stessa tecnologia che sfruttavano i vecchi televisori  e viene  tutt’ora utilizzata anche nei moderni LCD.



Una volta eccitato, ciascun fotorecettore invia un segnale elettrico attraverso il tratto ottico (composto essenzialmente da assoni), fino a raggiungere i lobi occipitali, che collaborano con parte dei temporali e parietali per permetterci di vedere. All’interno  di tali aree si ne possono individuare più di 30 “processori visivi” ciascuno deputato a una certa funzione e contenente una mappa completa o parziale del mondo. Da qui le cose si fanno molto complicate perché a differenza di come pensavamo fino a pochi anni fa, la percezione visiva non segue un’unica strada a step in una direzione, in cui le varie elaborazioni fatte da processori che svolgono funzioni differenti si sommano fino a portare alla percezione visiva finale (uno codifica il colore, l’altro la forma, altri si occupano delle associazioni con la memoria, altri afferiscono all’affettività ecc…). In realtà dopo ogni elaborazione il segnale torna nuovamente agli stadi precedenti come segnale di feedback, per essere nuovamente processato. Sembra addirittura che ci siano più vie di comunicazione volte alla verifica che quelle che afferiscono alle strutture superiori della coscienza.  Possiamo intuire la complessità di tale sistema osservando il diagramma di David Van Essen, che cerca di descrivere graficamente le connessioni visive nei primati. Si può notare come in effetti le afferenze di feedback sono innumerevoli. È ragionevole supporre che nella razza umana tale diagramma potrebbe risultare notevolmente più complesso.

                          
                             
diagramma di David Van Assen, psicologia, illusioni ottiche,



Queste continue “riletture”, permettono al cervello di creare in pochi millesimi di secondo, migliaia di realtà diverse, che vengono man mano scartate o aggiunte, mediate dal contesto, dall’azione eseguita, dall’esperienze passate fino a portare alla percezione finale, che dovrebbe rappresentare la nostra realtà. Sembra strano ma viviamo qualche istante nel passato, nel senso che tra la proiezione di un oggetto sulla retina e la sua visione cosciente, intercorre il tempo necessario per l’alaborazione di una grande mole d’informazioni. Tutti questi passaggi ci permettono di distinguere nella scena i particolari rilevanti e quindi degni di attenzione, da una miriade di particolari irrilevanti. Da ricerche recenti è emerso infatti che il nostro cervello non è multitasking, cioè l’attenzione può essere focalizzata su un pensiero per volta. Se cercassimo di svolgere due compiti differenti allo stesso tempo finiremmo per farli male entrambi. Ne consegue che i nostri sistemi automatici debbano di per se discrimanare ciò che è rilevante da ciò che non lo è , altrimenti tutto ci apparirebbe confuso e mescolato. Naturalmente tale sistema è stato dettato dall’evoluzione. Osserviamo attentamente la figura sotto, benchè forme e colori siano praticamente uniformi, si scorge immediatamente la figura del leopardo.


 Ed ecco che le leggi della percezione visiva trovano un riscontro immediato anche con la filogenetica.  Un nostro ipotetico antenato vissuto 200 mila anni fa, la cui vista avesse ignorato la legge della direzione (è proprio questa che ci fa scorgere vividamente il leopardo), sarebbe stato sicuramente mangiato così da troncare sul nascere la sua possibilità di riprodursi.
In definitiva ogni genere di illusione ottica si origina dall’incongruenza della figura stessa. Nel momento in cui viene elaborata dai nostri processori cerebrali, l’immagine “illogica” manda in confusione i sistemi di controllo che definiscono la realtà più probabile. Non comprenendo a pieno il senso dell’immagine ecco che la percezione cosciente rimane in bilico tra varie possibili realtà.



Bibliografia:


V. Ramachandran, L’uomo che credeva di essere morto, Milano, Mondadori, 2011.
F. Perls, teoria e pratica della terapia della Gestalt, Milano, Astrolabio Edizioni, 2008.
P. Watztlawick, La realtà inventata, Milano, Feltrinelli, 1988.

Sitografia immagini:
http://vedo.altervista.org/illusioni-ottiche

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